Non ricordo tutti i passaggi e come ci sono arrivato, ma cosa certa è che era l'inizio dell'autunno quando capitai sullo space de Le Rose. Nel player c'erano ancora i demo, poche informazioni sulla band e un sacco di riferimenti musicali sotto forma di album di artisti italiani degli anni Ottanta. Visto che l'anagrafe non mi aiutava, al primo ascolto pensai piuttosto a nomi contemporanei come i Baustelle. Ma qualcosa mi riportava invece all'infanzia, ai pomeriggi in macchina e a una voce che veniva spesso fuori dall'autoradio, era di Antonella Ruggiero dei Matia Bazar e lei, diceva mia mamma che mi spiegò chi era, in Italia non aveva rivali.
Le Rose sono un duo, lui-lei, Flavio e Andrea di Roma, da poco venuti fuori con un 7'' Mi Dice Sì / Schumann per la talent scout label fiorentina Pippola Music. Il posto più giusto sarebbe stata la radio, ma dal momento che l'etere non è disponibile abbiamo provato a ospitarli qui con una breve intervista. Visto che siamo cavalieri la pubblichiamo dopo quella uscita sulle pagine di D di Repubblica.
Il vinile è blu, le canzoni a tratti viola, il colore delle Rose scopritelo voi nell'intervista...
- Vi rendete conto della potenzialità sinestetica del vostro nome? Qualora mi chiedessero cosa stia ascoltando ultimamente direi "Ascolto Le Rose". E' una risposta con un suo valore poetico, evoca due sfere sensoriali differenti in un'unica immagine piuttosto inedita.
Sei sicuro siano solo due? Quali, poi? Vista e udito? Noi abbiamo pensato anche al profumo, alla morbidezza e al sapore di un fiore in bocca.
- Mi raccontate la vostra storia come band e quali sono i ruoli all'interno del duo con aneddoti e sfumature gossip?
È una storia molto semplice. Ci siamo conosciuti durante una jam con altri ragazzi, nello studio di registrazione di Manuel Cascone, a via Capo d'Africa. Prima frequentavamo gli stessi posti, avevamo pure degli amici in comune, ma fu soltanto la musica ad avvicinarci. L'idea di partenza era un duo tastiere e voci, musica intimistica e d'ascolto. Qualcosa di opposto a quello che entrambi separatamente avevamo portato avanti con i nostri precedenti progetti. Vedersi alle prove era liberatorio, perché potevamo finalmente dare sfogo alle nostre aspirazioni pop. Partimmo dalle nostre canzoni fatte ascoltare ancora a nessuno. Venivano bene e allora invitammo gli amici alle prove. Il primo pezzo vero de le Rose fu un pezzo con pretese cantautoriali, MrBlue. Seguì il primo concerto al Fanfulla 101, un locale ormai famoso nella Roma by night. Ci eravamo dotati di tastiere di tutti i formati e le generazioni e synthetizzatori. Il pubblico fu conquistato dalla nostra spontaneità e timidezza e intravide il nostro ascendente dance. Eravamo in embrione, eppure qualcosa era arrivato.
Oggi,l'attitudine è rimasta la stessa. Non ci sono ruoli definitivi: le Rose sono un box di giochi in cui due bambini si scatenano.
- A guardare e sentire il vostro myspace si intuisce presto di che decennio vi sentiate più figli, gli anni 80. Preferireste essere nati da un'ammucchiata tra Matia Bazar e Baustelle oppure da una sveltina tra Alberto Camerini e la Rettore?
Gli anni 80 sono stati un gioco, ma molti non l'hanno capito. Ora siamo già stanchi di questo cliché. È un fatto puramente estetico, ma non essenziale. La nostra musica da un punto di vista tecnico sonoro è contemporanea. Lavoriamo col PowerBook e con macchine nuove. Viviamo la realtà del blog. Ci vestiamo stando attenti alle mode, ma usando la fantasia, per inventare il modo di superarle. Siamo cresciuti insieme agli amici mangiando musica, nei pomeriggi oziosi a casa con lo stereo. In particolare, l'amore per la musica italiana del passato, ha fatto venire voglia pure a noi di scrivere le canzoni. Però prima dovevamo capire il linguaggio della nostra generazione, come hanno fatto Garbo e Camerini. Il linguaggio non si inventa mai tutto daccapo, ma si trasmette da un'epoca all'altra. Il revival degli anni 80 è stata una tendenza di qualche anno fa che ora va già scemando e si trasfigura in movimenti creativi nuovi. In realtà per le Rose è stata molto importante una cultura musicale contemporanea, quella della micromusic, che Flavio suona ormai da anni.
- I primi singoli Mi Dice Sì e Schumann pubblicati in un 45 giri per Pippola Music sono due brani di elettro pop essenziale, dai testi romantici, decadenti e in italiano. Si possono prendere come esempi su come suonerà il prossimo album in uscita ad Ottobre sempre con l'etichetta di Firenze?
Sì, ogni pezzo racchiude in sé l'anima degli altri. Li abbiamo scritti sull'onda della stessa ispirazione, che è durata più di un anno, tra prove, indecisioni, correzioni. Raccontano la nostra vita, sturm und drang e bohemien.
- Qual'è il vostro rapporto con Roma? E' un'influenza nella vostra musica la miriade di immagini, luoghi e colori diversi che offre la città eterna?
Roma è infinita. E' malvagia e amorevole, ti accarezza e ti sbatte. Siamo ragazzi segnati dalla vita caotica in questa metropoli. Tutta la nostra bellezza è in questa città.
- E se qualcuna s'innamorasse "del primo che le capita" mentre suona in sottofondo una vostra canzone? Missione compiuta?
Già, è il potere della musica, nei dancefloor, dove qualcosa muta nella percezione. È il “Lasciarsi fare”, il lasciarsi andare ad una flessione della volontà, per perdersi in uno sguardo, qualsiasi, purché caldo e umano. Certo questo non basta a sentirsi meno soli, al massimo non più soli degli altri. Mi Dice Sì è un pezzo stridente e sensuale, forse decadente, se bellezza e tristezza lo sono. Sì, se a qualcuno venisse voglia di fare l'amore ascoltando Le Rose, missione compiuta.
(♫) Ascolta Le Rose
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